venerdì 4 gennaio 2008

In Kenya rischia di morire anche lo sport


Speriamo che i primi fuochi di una guerra civile in Kenya si spengano presto. Nell'attesa, purtroppo, gli scontri tribali tra Kikuyu e Kalenjin provocano distruzione e vittime innocenti, principalmente tra i civili.

Noi, in un momento nel quale le tragedie del Sud del mondo paiono sempre troppo lontane dalla nostra comoda vita, non vogliamo dimenticare quanto il Kenya sia vicino alla nostra passione per la corsa.

Il Paese africano è fucina di campioni assoluti, non esiste gara o maratona, anche di quelle corse in Italia, dove tra i primi atleti assoluti non ci sia un rappresentante del Kenya.

Molti tecnici del nostro Paese hanno, anche per questo, deciso di fondare centri sportivi in Kenya, i famosi camp, per allenare i grandi atleti degli altopiani, ma soprattutto per “costruire” campioni del futuro, giovani africani ai quali la corsa può offrire nuove e concrete chances di affermazione sportiva e sconfitta della povertà.

Mentre il caos regna nel Paese, i camp sono tutti chiusi e, questa è cronaca, cominciano a contarsi le prime vittime anche tra gli atleti.

Nessuno infatti può sentirsi tranquillo, soprattutto adesso che stanno arrivando in città i Pokot, sottotribù dei Kalenjin, che sono noti per la loro violenza. Kibet, campione mondiale di maratona nel 2007 Osaka, è stato vittima di un’aggressione da gruppi non kikuyu ed è finito all’ospedale. Ha preso una randellata. Elijah Lagat, atleta che ha vinto le maratone di Boston e Berlino, ora parlamentare nel partito di opposizione, è stato contestato mentre andava all’aeroporto dalla sua stessa gente e quasi aggredito. Un campione dei 400 piani è stato ucciso. Solo alcuni esempi.

E, naturalmente, per gli atleti keniani, la preparazione in vista delle olimpiadi di Pechino si è interrotta. Tutti loro sogni olimpici sono ora in pericolo, perché non potranno allenarsi nel periodo più delicato della preparazione.


Non abbiamo ricette per interrompere questa spirale di violenza e distruzione, siamo troppo piccoli per fermare i disastri del mondo, ma per rallentare il processo che fa velocemente defluire le notizie peggiori nel dimenticatoio, questo sì.

I siti internet, i quotidiani, i telegiornali e i radiogiornali hanno già “retrocesso” le notizie legate ai fatti keniani in terza, perfino quarta fila.

E allora parliamone noi, pensiamoci, non dimentichiamo anche noi in fretta, perchè, come al solito, tutto scorre e la vita deve andare avanti; fermiamoci a riflettere, non fosse altro che per questa nostra vicinanza a fatti che riguardano donne e uomini che vivono con il cuore una passione autentica per il nostro stesso sport, che abbiamo reputato sempre più fortunati di noi, perchè campioni, ma che ora vivono la legge del contrappasso.

Diamo una possibilità alla Pace.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Hai fatto veramente una cosa lodevole scrivendo questo articolo sulla drammatica situazione etiope. Hai perfettamente ragione a dire quanto noi facciamo presto a dimenticare e mi piace anche il tuo invito a dare una possibilità alla pace.

Mi piace ricordare una frase di M.L.King
" Vi supplico di essere sempre indignati"


Carla

the rock ha detto...

Il lapsus quasi freudiano di Carla nel sostituire Etiopia a Kenia sul suo commento, (altro popolo che conosce sulla propria pelle l'assurdità della guerra civile e dove, anche lì, la corsa è per molti l'unica possibilità di riscatto da una vita intesa quasi come condanna)mi suggerisce un pensiero di speranza, pensando al sorriso più famoso tra tutti i sorrisi etiopi...(quello di Haile Gebrselassie)che quel sorriso magico che l'accompagna sempre nella sua danza al termine di ogni gara, torni presto sul volto dei suoi amici (perchè è così) Paul, (Tergat) Martin (Lel), Elijat, (Lagat) Kibet e tutti gli altri... noi, da parte nostra, possiamo non dimenticarli, ed ad essere loro vicini nel modo che ci resta più facile: continuando a condividere la loro stessa passione...

Anonimo ha detto...

Ora la situazione sta sfuggendo di mano; ma voglio ricordare che lì la guerra è quotidiana,lontano dalle telecamere.
Sono saliti alla ribalta perchè in questo momento fanno più rumore del solito.
Il Kenya non è un paese in cui si poteva girare indisturbati, attanagliato tra lotte tribali e miseria.
Ciò che è successo minaccia quello che conosciamo.