Facile a dirsi, adesso che tutto è finito e, per di più, nel migliore dei modi.
Facile, ma soprattutto se non ti senti “Solo” contro quell’esercito di chilometri che hai davanti.
Ed io non lo sono mai stato. Da mesi. Fin da quando ha cominciato a frullarmi in testa la malsana idea, o quantomeno “non condivisa” da molti, di confrontarmi ancora con il Passatore, questo bizzarro personaggio verso il quale, mentre percorrevo stremato gli ultimi chilometri della mia prima 100, imprecai, guardando il cielo di Faenza, dicendo: “Ma non potevi prendere l’autostrada che così avremmo fatto prima e faticato tutti di meno?”
Dapprima, i compagni di corse con cui ti alleni quotidianamente e quelli con cui condividi le fatiche delle varie gare cercano in ogni modo dissuaderti, di farti capire che non è proprio un bene massacrare muscoli, tendini e articolazioni. Ti dicono che una maratona è più che sufficiente, anzi, è fin troppo. Ma poi, quando capiscono che per te è importante, che la senti come una sfida con te stesso alla quale non puoi girare le spalle, che per te, in quel momento, è il primo obiettivo di sempre, allora le cose cambiano e, se fino a quel momento ti sentivi “Solo contro tutti”, ti ritrovi improvvisamente ad essere “Tutti contro 100”.
Ed è un susseguirsi di incitamenti, di consigli, di ipotetiche tabelle, di programmi più o meno condivisibili ma pur sempre volti a farti raggiungere lo scopo. E poi domande, molte domande. Sulla preparazione, sui tempi, sull’abbigliamento e sulle scarpette che indosserò. Domande alla maggior parte delle quali non so rispondere perché io non sono mai stato un calcolatore, uno che cura i dettagli, l’alimentazione, i tempi di allenamento e di riposo. Sono un istintivo, uno che prepara le gare a sensazione e, non a caso, quando mi sento di non voler più correre uso la frase: “Adesso ho la “sensazione” che non c’ho più voglia!”, e così smetto, anche se ho corso soltanto 10 minuti.
Questa volta, però, avevo la sensazione di stare bene, a parte un piccolo fastidio alle ginocchia che tutti mi dicevano essere solo un “fastidio psicologico”, uno dei tanti doloretti che si percepiscono soltanto prima di una gara importante. Ed io li ho ascoltati. Avevano ragione loro.
Ma nel giorno antecedente alla gara sono nel pallone più completo. Riguardo mille volte la lista delle cose che avrei dovuto fare e mi sembra che manchi sempre qualcosa. Così va a finire che mi metto a letto senza ancora aver preparato la sacca. Ormai domattina, a mente fresca.
E così sarà. Ma non è una sacca soltanto, sono ben tre borse. Una con l’abbigliamento, una con le varie borracce, sali, integratori, pomate, barrette, etc., ed una con gli alimenti, fra cui i tre etti di pasta al pomodoro e basilico che mi ero appena cucinato.
Mi incontro con i miei compagni d’avventura, Gigi, Davide, la Micky e l’ormai famosa, quanto per molti ancora misteriosa, “Popoffa” (Silvia) e via, si parte.
All’arrivo a Firenze, in Piazza Santa Croce, troviamo una folla di podisti che non ci saremmo mai aspettati di trovare, anche perché fino a quel momento non sapevo quanti fossero gli iscritti. Più di mille. Mille pazzi furiosi, me compreso, provenienti da tutta Italia ed anche dall’estero.
Incontriamo gli amici del Marathon Club di Città di Castello e fra loro Massimiliano Falleri. Un grande! Risultati strabilianti al suo attivo, fra cui, solo negli ultimi 12 mesi, vorrei ricordare le 8 ore e 32 nella passata edizione della 100 km, e le 4 ore e 10 alla Strasimeno (58 km). Non lo vedo carico come al solito ed infatti mi confida di avere qualche acciacco. Ma sono certo che anche se non riuscirà a raggiungere l’obbiettivo che si era prefissato, cioè scendere sotto le 8 ore e 30, farà sicuramente una grande gara. Il tempo di fare un paio di foto, uno scambio di “In bocca a lupo” e “Bang!”, partiti. Intanto i miei compagni di avventura, con i quali ero rimasto d’accordo di incontrarci a B.go San Lorenzo, si erano avviati per non rischiare di rimanere bloccati dal passaggio dei podisti.
E’ UNO SPETTACOLO. Non mi ricordavo che fosse tutto così bello, compresa l’incoscienza di noi che stavamo correndo, all’apparenza inconsapevoli di ciò cui stavamo andando incontro. Il clima? Un caldo pazzesco. Circa 27 gradi, ma è un caldo che mi piace.
Quando arrivo a Borgo e vedo che il cronometro segna un tempo nettamente inferiore alla volta precedente temo di essere andato troppo forte e che lo pagherò nel proseguo. 32° km. 2h 50’ 50” contro le 3h e 07’ di quattro anni fa. “Eccheccazz…”, penso fra me e me. “Ti sei fatto prestare anche il Garmin per cercare di controllare il tempo al km. Sei proprio un coglione!” Un certo timore mi assale, ma quando vedo gli altri che gesticolano da lontano avendomi riconosciuto e Davide con la borraccia in mano, pronto a correre con me i prossimi chilometri, sento le gambe andar da sole e via su per la salita, direzione Cima della Colla verso il 50°.
Davide, eccitato come un adolescente al primo appuntamento d’amore, mi rincoglionisce (in senso buono) almeno per un chilometro, dicendomi: “Vai piano. Stai andando benissimo. Non forzare. Bevi. Vuoi i Sali? Una barretta? L’acqua? Sei forte. Sei grande. Quello andava fortissimo, l’altro era mezzo morto”, e così via. Correva con una borraccia per mano, una con i sali ed una con l’acqua. L’avrei baciato in fronte, talmente era forte l’affetto reciproco che ci univa in quel momento. E mi son detto: “Se non finisci questa gara non ti meriti amici così!”. Nei successivi quindici chilometri di salita mi sono sentito letteralmente sospinto da coloro che mi avevano seguito per aiutarmi, dalla telefonata di mia figlia Sara e dal pensiero che tanti amici e compagni di corse erano mentalmente al mio fianco (in particolare Mauro, la Roxy, Giovanni che hanno anche provato a chiamarmi durante la gara ed il grande Guru Byzyo in collegamento diretto per avere gli aggiornamenti in tempo reale) e, mentre Davide offriva barrette e sali a chiunque superavamo, finalmente è arrivato il valico dopo 4h 33’ 37”. E con lui anche Gigi (The Rock). Quindi, cambio della maglia, ormai fradicia di acqua e sudore, in perfetto stile “Fantozzi”, come quando quest’ultimo dovette cambiare il laccio della scarpa prima di prendere l’autobus al volo: “Canotta pulita, hop!, Pettorale attaccato, hop!”… tutto senza mai fermarci. E poi giù per la discesa, in picchiata come falchi. In tre abbiamo proseguito per un’altra decina di km e … Dio che spettacolo! Sembrava di stare in Paradiso, tanto erano belli il panorama e l’atmosfera intorno a noi, mentre il sole cominciava pian piano a calare. Poi Davide è risalito in macchina e via con Gigi fino a Marradi dove, con suo grande stupore, saluta una vecchia conoscenza. Era il Pacemaker delle 3 ore nella maratona di Ferrara, in grossissima difficoltà. Stava poco più che camminando. E Gigi, dopo, per darmi ancora maggior conforto: “Ma ti rendi conto? Quello è uno che corre la maratona in 2h e 45’ e tu lo stai lasciando dietro come se niente fosse!”. Praticamente è come se mi avesse acceso i razzi ausiliari, in sostituzione di quelli ormai esausti. Eravamo a 5h 59' e 04" di corsa.
E ce n’era davvero bisogno perché temevo molto la crisi del 65° che per me equivaleva alla crisi del 35° nella maratona. Ma non ho neanche fatto in tempo a pensarci che era arrivato il momento della Micky, avvolta nella sua tuta nera da triatleta, pronta al 70° a buttarsi nella mischia. Ancora qualche km in tre e poi anche Gigi è risalito in macchina. La stanchezza si stava facendo sentire e, ahimè, ecco il primo segno di vero cedimento. La Micky si gira e mi vede camminare. “Che fai?” Se ti fermi è peggio!” “Eh, lo so”, pensavo fra me e me. “Se ce la facessi ancora a correre bene non mi sarei fermato!”. Ma aveva ragione lei e così sono ripartito. Intanto ad un ristoro ci informiamo sul chilometraggio, perché c’eravamo persi il cartello dell’80°. “Siete all’81°”, ci dice una signora. Questa si che era una notizia! L'ennesimo bicchiere d'acqua rovesciato in testa, un sorso di sali e via di nuovo. Ma le gambe erano sempre più pesanti e così, altro stop, ancora pochi metri fatti a passo d’uomo. La Micky ormai non mi diceva più nulla perché capiva che ne avevo davvero bisogno, ma sapeva anche che sarebbero durati poco. Ed infatti, poco dopo stavamo di nuovo correndo, felici di veder brillare nel buio della notte le luci di Brisighella: il 90° Km! Poco prima di passare al controllo del chip, altro stop. Pochissimi metri percorsi camminando, ma era assolutamente necessario. Ormai sapevo di essere quasi arrivato, ma chi corre lo sa: gli ultimi chilometri non passano mai! Intanto gli altri continuavano ad incitarmi ed a dirmi: “Ehi, una piccola crisi al 90° ci può stare, no? Stai tranquillo. Rispetto all’altra volta sei in anticipo di più di un’ora! Sei ad 8h e 17'. Vai, vai vaiiiiii”. Davide si era nuovamente preparato per correre insieme a noi gli ultimi 5 km ed al 95° mi dice. “Adesso il vantaggio rispetto a quattro anni fa è di circa un’ora ed un quarto. Puoi permetterti anche di arrivare camminando!”. Arrivare camminando? Ho fatto rapidamente due conti e mi sono detto: “Se sono in anticipo di un’ora ed un quarto posso arrivare sotto le 9 ore e mezza. Dai cazzo!!! E lì ho deciso di dare tutto ciò che mi era rimasto dentro. In poche decine di metri il ritmo gara è si è stabilizzato a 4’ e 30” al km, secondo più secondo meno. Concentrazione al massimo. Ho chiesto ai due amici che mi seguivano silenzio assoluto e nessuno al mio fianco. Solo dietro le mie spalle. Mi sono sentito quasi una merda nel trattarli così dopo tutto quello che avevano fatto per me ma ero certo che avrebbero capito. Abbiamo ripreso alcuni atleti che in precedenza ci avevano superato, increduli nel vedere un terzetto in perfetta fila indiana andare via come il vento nel buio della notte. All’ingresso a Faenza riprendiamo un podista assistito da due ciclisti, uno dei quali, ad ogni gruppo di persone che incontravano gridava: “E’ un romagnolo!!!” , riferendosi al podista che stavano assistendo. E tutti lo acclamavano! Ci avevano talmente rotto le palle con ‘sta storia del Romagnolo che mi son detto: “Adesso l’”Umbro” ti frega!”. E così è stato. Penso di aver percorso l’ultimo km a 4’e 15”, per il timore che mi raggiungesse l’ormai famoso “Romagnolo” e mentre sbuffavo per la fatica verso il traguardo, vedevo con la coda dell’occhio Davide e la Micky che si erano allargati correndo quasi sul marciapiede perché eravamo ormai a poche centinaia di metri dall’arrivo. Come se non stessi dando veramente il massimo, la Micky ha avuto anche il coraggio di gridarmi: “Dai che il Romagnolo ti sta raggiungendo!”. Mi sono girato terrorizzato, ma non era vero! Era ben distante. Davide ha dovuto fare uno scatto micidiale per potermi vedere transitare sotto lo striscione e girarsi insieme a me a guardare il tempo: 9: 21: 21.
Pugni stretti al cielo e lacrime agli occhi, non mi vergogno a dirlo. Poi il tanto desiderato abbraccio con le persone che mi erano state accanto fin dalla partenza, consapevole del fatto che senza di loro non avrei mai ottenuto questo risultato. Ragazzi e ragazze dal cuore immenso che hanno condiviso con me ogni emozione di questa magnifica gara e che non finirò mai di ringraziare.
Avviandomi verso lo stand dove avrei dovuto riconsegnare il chip, passo davanti al tavolo dove erano posizionati i pc che stavano registrando i tempi di transito e di arrivo e chiedo ad uno dei tecnici:”Scusi, mi può dire come si è posizionato in classifica il n° 109?” Un rapido controllo e…: “47°”. WOW!!! Stentavo a crederci.
Forse ho impiegato troppe parole per raccontare una semplice gara podistica. Probabilmente, per molti atleti si è trattato di una delle tante gare fatte durante l’anno, priva di particolare importanza, ma per me, anzi per NOI, è stata un’esperienza memorabile, vissuta provando TUTTI le stesse forti emozioni, dall’inizio alla fine. A questo punto, però, c’è solo una cosa che mi sfugge:
MA SE ABBIAMO PROVATO TUTTI LE STESSE EMOZIONI, PERCHE' IO ERO IL PIU’ STANCO?